Lunghissima, avanzava sbattendo contro i tronchi dei tassi. Vagava frenetica lungo il sentiero, voltandosi spesso nella speranza che fosse quello giusto. L’ombra apparteneva a Fabio, diciannove anni, il suo cane accanto.
Sentì sul collo una vicinanza pericolosa, come di un fiato, e la sensazione inquietante di non essere solo. Si voltò, ma non vide nessuno. Lame di luce arancione fendevano la nebbia, allungando a dismisura le ombre degli alberi, sulle felci e sulle rocce. Ares sollevò il muso da terra, annusò e si guardò intorno.
Fabio arrestò i suoi passi e deglutì piano: – Che c’è?
La strada stretta di fronte a loro conduceva verso un ponte, su un ruscello quasi secco. Fu allora che Fabio comprese molte cose: la reticenza di Ares nella radura, gli altissimi cespugli di rovi che non ricordava di aver attraversato quella mattina, l’eccessiva stanchezza nelle gambe.
Prese a contare i bivi, dalla Madonnina in cima fino ad allora. La carta diceva tre svolte: sinistra, poi destra, poi sinistra alla radura. Da lì la scalinata e il punto panoramico. Sinistra, destra, sinistra: o no? Guardò il cane con aria interrogativa. Parlava fra sè gesticolando lentamente con le mani, tracciando nell’aria dossi, svolte, bivi e incroci, con gli occhi socchiusi. Contava e borbottava. Una rotazione del polso espose lo schermo del suo Casio verso la luce, e nel riflesso vide il bagliore rosso del sole, ormai quasi scomparso dietro le cime. Una folata di vento smosse le foglie morte e spostò il banco di nebbia fino ad affogarlo. Sussultò e si voltò per tornare indietro. Ares lo seguì svelto, come se non volesse restare solo. Camminarono per qualche minuto, passarono di nuovo fra i rovi. Giunsero alla radura, tutte strade uguali, nessuna riconoscibile.
Come un’onda, Fabio fu travolto dalla nettissima consapevolezza di essere solo – in una massa indistinta, ignota e, da lì a poco, buia . Solo, con mezza bottiglia d’acqua e un pacchetto di cracker, e un cane. Senza una torcia, una bussola, un maglione o una coperta. Seduto ai piedi di una quercia, percepì nitidamente l’umidità dell’aria, il suo corpo si agitò in un tremito. Deglutiva in continuazione, sudava e vedeva il buio assalire il mondo dalle periferie dei suoi occhi.
Sentì un rumore, come uno scricchiolio.
Pensava al peggio, ma si sbagliava.