La grande casa al mare dei Delogu era circondata da un giardino curato. Sul prato verde svettavano tre palme, dall’alto delle quali, se a qualcuno fosse per caso venuto in mente di salire, si sarebbe potuto guardare il mare da una posizione privilegiata. Questo sforzo immenso era tuttavia scoraggiato dalla presenza, al limite del prato, di una rotonda pavimentata in cotto fiorentino. Anche da lì si vedeva il mare, e da più vicino, e meglio.
Ma dall’alto delle palme si vedrebbe più lontano – pensò Sofia.
Strinse gli occhi, per mettere a fuoco i particolari del tronco del pino al quale era fissata l’amaca – un maggiolino risaliva la legnosa parete verticale senza sforzi apparenti. Un piede ciondolava e ogni tanto sfiorava il terreno, quanto bastava per fare forza e spingere l’amaca per cullarsi.
Sofia indossava un costume da bagno rosso, e sul suo corpo tonico si notavano i segni delle prime abbronzature, quelle lontane dalla spiaggia, casuali e inevitabili. Di quando si torna a casa a piedi dopo la scuola, degli allenamenti di tennis, delle ore di lettura in veranda.
Era il primo giorno di mare dopo la maturità. La ragazza scese verso la rotonda ad osservare la netta differenza fra il celeste e il blu, nella linea in cui il cielo si posa sul mare. Le onde si arrendevano alla loro natura scivolando inesorabili sulla riva, cancellando le orme della processione di anziane signore che dall’alba attraversavano la spiaggia, da una parte all’altra senza pausa, con le mani dietro la schiena. Sofia le guardò e sorrise, come quando si sorride dentro. Né la pienezza degli occhi castani né la morbidezza della bocca rivelavano la traccia dei suoi pensieri: quest’anno la mia estate sarà così: libera, lenta, calma e ripetitiva.
Eppure, nessuna delle persone che avrebbe incontrato in quella lunga estate del 2005, sarebbe stata dello stesso parere. Sarebbe cominciato tutto da lì a pochi minuti, a pochi metri, con la famiglia sotto l’ombrellone verde e bianco.