In principio sono stata campagna, incedere di un pendio. Rivolgevo il mio sguardo verso la grande valle che voi uomini avete poi imparato a coltivare, verso i bianchi monti che tratteggiano il cielo e all’alba si colorano di rosa.
Mi calpestavano gentili bestiole di ogni forma. Qui costruivano i loro rifugi, godevano anch’essi del sole che mi rendeva viva. Passai lunghissimi anni a sentirmi libera e selvaggia, come se fossi in attesa del mio destino. Ero sempre stata terra, acqua ed erba: venne poi l’uomo, e divenni strada.
Crebbi e mi trasformai in cammino, deposito di passi, catalogo di storie. Uomini e donne risalivano dalla valle, altri scendevano. A piedi scalzi o sui loro cavalli, con i loro tragitti e le loro pause abbozzavano rudemente la forma che tuttora conservo. Ancora non sapevano cosa fosse una città, ma la sognavano. Io aspettavo il giorno in cui avrebbero portato via l’erba dei miei prati.
Ricordo il primo sguardo del primo uomo che guardandomi disse: “Va bene qui”. Era un pomeriggio torrido, io sdraiata guardavo negli occhi l’infinito del cielo. Quella stessa notte venne lui, l’uomo del pomeriggio, accompagnato dalla sua donna. Si tenevano per mano e ridevano. Si sdraiarono, lei con la testa sulla spalla dell’uomo. Conosceva il nome di ogni stella, ogni dio e ogni eroe intrappolati nella rete del firmamento. Raccontò quelle storie alla donna. Lei affascinata teneva fra le dita i fili d’erba del mio prato, senza strapparne neppure uno.
Probabilmente si innamorarono. Io mi innamorai di una sensazione. Il destino atteso da sempre prendeva forma, compresi di essere un luogo adatto ad ospitare le belle storie degli esseri umani.
Persino quando estirparono la mia erba, molti anni dopo, e attorno a me ersero case e palazzi, e sopra di me posero pietre piatte trasformandomi in una strada larga e comoda – persino allora continuavo a pensare di essere un bel posto per le donne e gli uomini di questa città. Fabbricarono il convento, vedete? Da allora le montagne non mi fanno più compagnia. Alla grande valle si arriva da tante strade, molti scelgono ancora di partire da qua, da dove sono io. A volte ho pensato bruttissime cose di voi uomini, vi ho chiamato ladri e truffatori. Ho temuto che la vostra città diventasse tanto grande da annullarmi, confondermi e cancellarmi dai ricordi.
Non è successo: per questo mi ritengo fortunata e a voi devo, in qualche misura, rendere grazie.
Negli ultimi anni (perdonatemi, il mio senso del tempo è molto differente dal vostro) è accaduto un fatto singolare. Qui accanto a me, direi quasi addosso, avete messo su un mercato. È stato un grosso onore. Ho imparato la vostra lingua, i vostri segreti e il modo in cui vivete. Mi piacete. Quando portavate il pane, i frutti delle vostre campagne, la carne, i formaggi, il vino per il quale faticate, amate e odiate, mi riportavate indietro al tempo antico ed eterno in cui non ero altro che campagna anche io, come ora lontano da qui. Mi concedevate di riassaporare gli aromi che il vento portava fin quassù dalla grande valle. Mi sentivo compagna del vostro crescere, pur restando estranea e silenziosa ascoltatrice.
So molto di voi, orgogliosa gente di Nuoro. So cosa vi piace, per quali dolori piangete, come festeggiate i vostri successi, quali sono gli affronti che non siete in grado di perdonare. Conosco gli eccessi di cui dovreste vergognarvi, soffro con voi dei mali che vi affliggono, non comprendo certi vostri modi di vendicarvi. Alcuni fra voi hanno dato onore alla nostra città, e sono più di quelli che ne hanno infangato il nome. So di Grazia e del perché sia stata in Svezia, di Sebastiano e delle sue poesie, della madre di Francesco a Venezia, delle fotografie e dei dipinti di Antonio, del Giudizio di Salvatore, del giovane Marcello che ancora parla di voi. Mi piacciono tutte le vostre storie.
A me manca il mercato, e la quotidianità che lo rendeva così vivo. Confido però che sappiate raccontarmi altre storie. Questo è sempre stato il mio posto. Prima di essere una strada, prima del mercato, prima di essere chiamata “piazza” e portare il nome di qualcuno che non conosco. Ho sempre ascoltato le vostre storie, so di essere qui per questo.
Raccontatemene ancora.
Grazie.