Ho amato musica e foreste per il mestiere che scelsi.
Ho avuto paura soltanto la volta dei lupi e della neve.
Per il resto, mi piaceva camminare nei boschi e accarezzare le cortecce degli alberi. Mi piaceva andarci da solo, e anzi: ho scelto quel mestiere proprio per andarci da solo.
Soprattutto da giovane, credevo di avere troppo poco silenzio per me. Non è che non mi piacesse la gente, questo no. Ma non mi piace il rumore che fa.
È talmente alto che non riesci più a dare ascolto a te stesso.
Durante la Grande Guerra, mentre la gente cercava il modo migliore per alzare la voce, io scelsi il silenzio buono delle foreste. Non sarei mai potuto andare al fronte, questa gamba zoppa a qualcosa è servita.
Il mio tacere era la costruzione di una musica. La costruzione di tutte le musiche, di ogni orchestra da qui a Vienna, dei violini e dei pianoforti a coda, delle chitarre spagnole e dei banjos americani. Per preparare tutta la musica del mondo occorre un enorme silenzio: io andavo nelle foreste. Facevo il liutaio. Avevo un laboratorio e costruivo tutto da solo, ma il bello è scegliere il legno. Il laboratorio ce l’ha anche il falegname, però a lui del silenzio non importa.
Non ho mai voluto che la gente non facesse rumore.
Volevo che imparasse ad ascoltare. Ero giovane, troppo giovane: costruire strumenti musicali perché a parlare sia unicamente la musica, così credevo. Non ho mai cambiato nessuno, attorno a me c’è sempre stato il frastuono dei pensieri di genti confuse. Ma ho visto dei musicisti suonare divinamente i miei strumenti, e la gente in prima fila stare muta, con la bocca spalancata per la meraviglia.
Tutta quella musica, eppure un sacco di silenzio. Questo, volevo.
Ecco, scegliere con cura il mio mestiere è stato un modo di salvare la mia vita da una banalità soffocante.