Un medico

Mio padre era medico. Morì consapevolmente di polmonite nel Giugno del 1936, io avevo quindici anni. Non andavamo d’accordo: io non avrei mai voluto fare il dottore, lui non riusciva ad immaginare per me un altro futuro.

Ma gli volevo un gran bene. Non credo ci sia nulla di straordinario, succede a molti genitori e figli: ci si vuole bene ma non ci si sopporta. Gli volevo davvero un gran bene: sapevo che uomo fosse e quanto facesse per la famiglia. Nonostante fosse spesso fuori casa faceva in modo di essere presente a pranzo e a cena, ci raccontava le sue imprese e di come salvasse la vita a persone considerate già morte. Era il mio eroe.

Non gli dicevo mai di volergli bene, supponevo che lo sapesse e lo capisse. Ogni tanto, però, pensavo che avrei dovuto. Mi chiedevo, sdraiato a pancia in su nella mia stanza, se fosse il caso di raccontargli esplicitamente quanto mi facesse sentire orgoglioso di essere suo figlio, nonostante le differenze. Volevo guardarlo negli occhi e usare le parole giuste perché lo sapesse, e non lo potesse dimenticare mai.

La sera, sotto le coperte, ero molto determinato a parlargli. Avevo già un discorso bell’e pronto. La mattina seguente, puntualmente, lasciavo perdere.

Quando in casa capimmo che da lì a poco ci avrebbe lasciati soli, cominciò ad assillarmi un pensiero terribile. “Tuo padre morirà e non saprà mai quanto gli hai voluto bene.” Mi faceva impazzire. Non avrei potuto sostenere un peso del genere. Gli scrissi, perché era vietato entrare nella sua stanza. Scrissi quello che pensavo nelle notti insonni a fissare il soffitto, e mi scusai per non aver trovato il tempo di dirgli tutto prima che fosse troppo tardi. Chiesi di far arrivare la lettera fra le sue mani terrorizzato dall’idea che potessero rifiutarsi di recapitargliela. Invece gli infermieri acconsentirono.

Due giorni dopo arrivò una lettera per me. Proveniva dalla stanza di mio padre ed era scritta di suo pugno, con una grafia incerta e confusa. Ma si capiva bene. “Sapevo tutto, ma grazie comunque. Ti voglio bene anche io. Bada alla mamma.”

Questo mi ha salvato la vita: sapere di averglielo fatto sapere in tempo.