Non parlerò qui di Julie. Lei è stata la mia fortuna più grande, l’amore della vita. Vi sto parlando delle volte in cui sia riuscito a salvarmi, e probabilmente sarebbe bastato dire: Julie mi ha salvato. Però il ricordo di Julie è quanto di più caro conservi, e non ne parlerò. Giusto un episodio.
La musica ci fece incontrare: io ero un liutaio e lei una pianista.
Andavamo assieme a teatro e tornavamo a casa a piedi per parlare degli strumentisti, dei cantanti e del pubblico. In casa cantavamo – lei era obiettivamente più brava di me.
Ci sposammo e andammo a vivere insieme, in una casa in centro.
Ci abbiamo vissuto fino al 1998, poi io non volevo continuare a stare lì dentro da solo.
Una mattina, Marzo ’93, Julie uscì di casa a piedi per comprare della farina. Dopo una ventina di minuti, sapendo che da lì a poco sarebbe stata a casa, mi affacciai alla finestra per aspettarla. Sarebbe arrivata a piedi, dall’altra parte della strada, dentro il suo vestito azzurro. L’avrei chiamata e mi avrebbe sorriso da dietro i suoi occhiali quadrati. Poi insieme avremmo preparato la torta per nostri nipoti invitati a pranzo.
Riconobbi il suo passo svelto e la chiamai. Mi sorrise e fece un cenno con la mano per salutarmi. Scese dal marciapiede, camminò fino a metà della carreggiata e lì una macchina le si schiantò addosso con una forza inaudita. Ricordo tutto perfettamente. Non riuscii neppure ad urlare. Scesi giù veloce quanto la mia gamba vecchia e malandata mi concesse. Trovai Julie priva di sensi, circondata di gente che dirigeva il traffico e incorniciata dalla farina che aveva appena comprato, esplosa sull’asfalto. Piangevo, già rassegnato all’idea di dover vivere di ricordi per sempre. Avrei voluto essere capace di arrabbiarmi, ma non riuscivo. Mi chinai con fatica per stringerla, pensando a come l’avrei detto ai nostri figli, singhiozzando.
Lei, con un filo di voce, ignara della mia tristezza inconsolabile, disse: «E adesso come facciamo per la torta?»
Salvarsi è temere che sia tutto finito e poter ricominciare.