Grazie

Ora parlo così e ne sono contento: con calma e scegliendo le parole giuste.

Ma ho corso tanto. Non ho saputo apprezzare i momenti di cui vi ho parlato nel momento in cui li ho vissuti. Ho riflettuto tanto, in questi ultimi anni in cui Julie non c’era più. Alla mia età si tende a pensare al contrario. Voi non avete che un tempo, il futuro: a noi non importa. A me importa guardarmi alle spalle e capire se sono riuscito a dare un senso alla mia esistenza. Io sono nel passato, a ricontrollarlo e sperare di giustificarlo.

Non so se mi salverò, né quale sia il senso di questo salvarsi. So bene però che a volte ci sono riuscito con le mie forze, a volte ho ricevuto l’aiuto di qualcuno, spesso sarebbe potuto andare peggio.

Mi sono fatto un’idea sul senso del salvarsi. La mia esistenza è stata tratta in salvo ogni volta in cui ho cominciato a sentirmi completamente vivo. Sapere di essere stato ascoltato da mio padre, le mie foreste e il legno dei miei violini, svenire in mezzo a incubi di lupi e riscoprirmi salvo, Julie, ma anche nostro figlio che riemerge dal lago in montagna, l’amico che non ho perduto, la casa che ho comprato per stare vicino ai miei ulivi: sono tutti modi di raccontare un pensiero solo.

Tutto mi fa pensare che non ci si possa salvare da soli. Credo ci voglia qualcuno per cui preoccuparsi, o che si prenda cura di noi – qualcuno che faccia al caso nostro. Detto da uno che ha passato la vita a girovagare nelle foreste di mezzo mondo, con la sola compagnia del vento e del freddo, suona strano. L’ho capito tardi.

Altri, non io, mi hanno fatto sentire vivo.

Mi hanno salvato la vita e io non vedo l’ora che si concluda.

Vorrei qualcuno che nell’ultima ora suonasse una musica allegra per me che vado. Altro non chiedo.

Così che salvi anche il mio ultimo pezzetto di vita, quando chiuderò gli occhi ringraziando tutti.