Mio figlio stamattina, prima di partire, ha preso gli stivali in gomma di suo padre, dicono che potrebbero servire. Io non so se troveranno qualcosa da fargli fare. Lui crede che stare a casa sarebbe comunque meno che andare lì a mettersi a disposizione. Non se la sentiva di stare qui, così gli ho sentito dire al telefono. È partito con il suo amico, quello alto. Non ricordo come si chiama. Andavano con la sua macchina. Gli ho preparato dei panini, chissà se li mangeranno. Mi ha rassicurato, vedrai quanto ci sarà da mangiare. Così ha detto. Io speravo che andasse con un camion, quelli li fanno passare prima. Almeno, se proprio ci vuole andare, arriverà prima. Non sa fare nulla, vedrai che sarà a casa per l’ora di cena perché lo manderanno via. Ci vuole gente esperta, altro che giovani esaltati. Certo, una mano la apprezzeranno, ma chissà quanto davvero potrà rendersi utile. Anche quell’altro, il suo amico: è laureato in agraria: ma cosa ci andranno a fare? Ho paura. Ho paura che possa crollare un altro ponte, proprio mentre lo attraversano con la macchina. Ho paura che rimanga isolato e non possa farmi avere sue notizie, non mi voglio preoccupare. Ho paura che stia male, che si ammali, che non riesca a mangiare qualcosa di decente. E sta ricominciando a piovere. È uscito così, nessuno merita di essere lasciato solo, ha detto. Ed è partito.