Alcune preghiere, la maggior parte, salgono al cielo come i vortici fumosi dell’incenso. Pretendono di essere ascoltate.
Altre aprono le bocche in sorrisi, come una radura dopo una foresta. Si sforzano di ringraziare.
Le ultime sono le più vere, rigano il volto come lacrime. Chiedono perché, senza capire. Perché a me, perché alla mia famiglia, perché oggi?
Io oggi voglio pregare. Chi prega non crede né alla buona né alla cattiva sorte. Crede valga la pena pregare, soprattutto quando non capisce bene perché.
Non credo che alla Sardegna oggi sia toccata questa sorte per caso. È troppo facile arrabbiarsi con un destino nefasto. Non credo basti pregare, ma credo sia necessario farlo. Credo che ci siano dei responsabili. Credo sia folle cercarli solo in Sardegna, e che non si possa non guardare al resto del mondo. Credo non sia possibile restare tristi senza arrabbiarsi.
Se pregassi adesso, direi che
Noi non ce lo meritavamo. Dai la nostra isola in pasto alle fiamme infernali dell’estate, e ora non ci dai tregua con l’acqua del cielo. Non possiamo avere sempre paura. Non possiamo vivere così, la morte non ci può raggiungere con questa disinvoltura. Ci hai messo da soli in mezzo a questo mare, senza nessuno che si curi di noi. La mia gente muore a poco a poco, e chi non è morto oggi affogato, potrebbe morire domani di disperazione. Che paradiso è mai questo?
Come possiamo essere felici, se dobbiamo ogni anno ricominciare a costruire la nostra terra pezzo per pezzo? Dove troveremo le forze? A chi chiederemo aiuto?
Non posso non chiederti perché. E non posso neppure cercare un senso.
Prego e piango, la mia disperazione trabocca dagli occhi come un lago troppo pieno che si lascia andare. E sento che le mie parole non arriveranno abbastanza in alto per essere ascoltate, perché sono troppo piccole.
Ma se mi rispondesse, mi direbbe che
Avete occhi troppo piccoli per guardare. Non vedete al di là del vostro naso, eppure sapreste come fare. Sapete di chi è la colpa, e non è la mia. Sapete quanto mi curi di voi, ed è per questo che vivete nella vostra terra, tesoro del vostro mare. Vi ho dato un bel posto in cui vivere, e abbastanza forza perché ve ne preoccupiate e vi aiutiate a vicenda in momenti come questo.
Ma se aveste uno sguardo adeguato capireste come la natura non possa resistere ai vostri ritmi frenetici. Lei deve crearne di suoi per difendersi. Ai suoi occhi i vostri morti non contano affatto, anche lei deve sopravvivere. Degli uomini ve ne curate voi, e me ne curo io. Lei no.
Allora saprei che
Non si può aspettare un miracolo, non si può stare fermi.
Non basta pregare, e non riesco a smettere di piangere.
E mi risponderebbe infine
Ho pianto anche io.
E avrei una preghiera anche per chi non crede in niente, e comunque piange.
Non lasciamoci soli. Diventiamo i ponti che la pioggia ha distrutto. Rialziamoci, guardiamoci attorno. C’è chi sta peggio di me che posso mettere per iscritto questo sconforto, e di voi che potete leggerlo.
Costruiamo la serenità che ci manca.
E l’ultima preghiera è per il silenzio assordante di chi non si cura della nostra disperazione.
Rispettate il nostro dolore, oppure state dove siete sempre stati.