Mattina.
Dove mi trovo?
Come ogni giorno da non so quanto a questa parte, mal di testa. Il medico mi ha detto perché ma non ricordo. Mi sveglio sempre in una casa diversa, oggi pareti gialle e parquet. Mi ostino a parlare a voce alta sperando che la sequenza di qualche suono dia ordine alla mia esistenza, per non procedere come mi sento adesso: vuoto e confuso. Credo che berrò una birra. Come, frigo vuoto? Berrò una grappa, fanculo la mattina presto.
Igor Serasevskij ebbe un incidente d’auto tre anni fa. Andò a sbattere con la sua auto contro un furgone. L’autista del furgone morì sul colpo, Serasevskij batté la testa ed entrò in coma.
Mezzogiorno.
Dovrei fare la spesa, ma in questa casa non ci sono soldi. E se ce ne fossero, mica li potrei prendere, non ho idea di chi possano essere. Il proprietario sarà andato a lavorare.
Esco, qua non ci faccio niente.
Bel parchetto, sembra si stia bene. Quello sembra conoscermi, chissà che vuole.
– Igor! Anche oggi qua, eh? Scommetto che non hai pranzato.
Igor, ecco com’era.
– Hai indovinato, niente pranzo. Neanche tu?
– Credi che se potessi permettermi un pasto dormirei al parco? No che non ho pranzato. E non pranzerò. Stasera alla mensa, se riuscirò ad arrivare a stasera. Tieni, bevi.
Vino. Perché questa maledetta voglia di lasciarmi andare, tutta questa voglia di bere? Ne berrò solo un po’.
Serasevskij rimase in coma per due anni. Al suo risveglio non ricordava nulla se non il nome di una donna, Irina. Cercò di descriverla ai medici, ma riusciva a dire soltanto quanto fosse innamorato di lei, e che tutto ciò che ricordava era questo. Non il volto, né il corpo: solo “Irina”, la donna di cui era sempre stato innamorato.
Pomeriggio.
Morirò prima di sera, lo so. Ho bisogno di un medico, o di un whiskey. Cazzo, oggi muoio di sicuro.
– Mi porti da un dottore, la supplico.
– Igor (posso chiamarti Igor?), di nuovo qua. Di nuovo ubriaco fradicio. Ti ucciderai con le tue stesse mani, un giorno o l’altro.
– Oggi, dottore, oggi. È per questo che sono qui! Mi aiuti, la prego.
– Oggi come ieri e, temo, come domani. C’è una cosa sola che devi ricordare. Una soltanto. Smettila di bere.
– Guardi che è successo soltanto oggi, glielo posso garantire.
– Soltanto oggi? Dov’eri ieri notte?
Non so rispondere, e ho l’impressione di non poterlo fare mai. Perché sono così triste, di colpo? Ho voglia di bere. Questo silenzio è troppo lungo.
– Non ricordo, signore.
Le lesioni riportate da Serasevskij avrebbero potuto renderlo incapace di vivere una vita normale. Rimase sotto osservazione per un paio di settimane e poi venne ospitato da una struttura riabilitativa.
Gli operatori della struttura ritenevano che per lui ogni giorno fosse come il primo giorno di una nuova vita. Un paio d’ore di sonno gli bastavano per dimenticare la sua storia. Ma non era pericoloso né per gli altri né per se stesso, quindi dopo poco poté tornare a vivere nella sua abitazione.
Sera.
Torno a casa, credo di essere eccessivamente sbronzo. Faccio il giro dell’isolato e vado a dormire, non ce la faccio più. Come riesco a ridurmi così?
No, i crampi no. Ti prego, i crampi no. Maledizione, devo fermarmi a mangiare.
– Chi si rivede! Ce li hai i soldi? O sei qui per bere a sbafo come al solito?
– Offro io per Igor. Canaglia di un barista maledetto! Come se davvero potesse pagarti o fosse colpa sua. Cosa prendi, amico?
Ora gli rispondo. Solo un panino, niente da bere. Un hot dog e rientro a casa.
– Niente, eh? Sei messo peggio del solito, amico.
Un hot dog e una birra scura per Igor!
È l’ultima, peggio di così non posso stare, fanculo.
La vita di Igor Serasevskij era davvero, come avevano notato gli infermieri, nuova ogni giorno. Nuova e noiosa, senza riferimenti personali né un lavoro stabile. Non aveva mai lavorato prima dell’incidente, non lavorò mai neppure dopo il coma, era l’unico erede di un patrimonio spropositato. Le prime settimane dopo la riabilitazione gli capitava di avere dei ricordi lampo di Irina, flash che duravano meno di un secondo in cui sentiva la sua voce e si sentiva vecchio e sano. Poi scomparvero.
L’alcool prese lentamente il posto della noia, si impose come unica preoccupazione, Igor dilapidò le sue ricchezze.
Irina scomparve completamente dalla sua mente, lui rimase in balìa del nulla dei suoi ricordi sfumati.
Notte.
Ho bisogno che qualcuno mi porti a casa, voglio dormire. Mi voglio dimenticare di quanto mi faccio schifo, di questo pub in cui mi sono pisciato addosso. Voglio dormire e ricominciare una vita nuova, senza questa voglia che mi beve l’anima, senza provare vergogna, con un pasto caldo e una casa completamente mia. Non lo voglio più il blu di questa pista da ballo deserta in cui marcisco come un cane. Ho paura, voglio dormire. Portatemi a casa.
In poco tempo lo conobbero tutti, nel quartiere. Si abituarono ai suoi vuoti e ai suoi vizi, lo compativano. Ogni notte c’era qualcuno disposto a portarlo via dagli squallidi locali in cui cadeva svenuto. Lo riportavano nella sua casa, un appartamento con il parquet, il camino e le pareti gialle, pronti ad aspettarsi di fare lo stesso il giorno successivo; vivendo la vita di cui lui aveva perso definitivamente i ricordi.
Mattina.
Dove sono?