Rosso

Nello specchio, dietro una nuvola di fumo, spiccano due labbra scarlatte. Appartengono a una ragazza di cui non sapremo mai il nome.

Preferisce che la si chiami 15/6, come il quindici di giugno, la sua data di nascita.

Quando il fumo si dirada, la luce le illumina lo sguardo e nello specchio appare tutta la rassegnazione dei suoi occhi.

15/6 ha una vita complicata e un passato difficile da raccontare. Ha un figlio di otto anni che vive con lei in una mansarda di un palazzo in centro.

Lo specchio è sopra un tavolo, vicino a dei trucchi. La donna prende una matita e disegna un piccolo neo sul suo zigomo destro.

Si fa chiamare 15/6 perché si vergogna di cosa è diventata, delle notti che trascorre a far godere uomini grassi e violenti, ricchi annoiati e giovani curiosi.

Conserva il suo nome per le poche amiche che le sono rimaste.

Non ne ha scelto un altro perché nessun uomo la possa chiamare per nome, nel letto della mansarda, separata da suo figlio solo da un muro. Un nome non lo vuole.

È un modo di lasciarli soli, a urlare nomi inventati: delle loro mogli, di certe attrici del cinema, di colleghe di lavoro che non potranno mai avere, di ex fidanzate che loro stessi credevano di aver dimenticato. Uomini che finiscono per portare a letto se stessi e le loro frustrazioni. Tutti almeno una volta la chiamano Puttana, pochi fanno lo sforzo di scegliere un sinonimo. La sua risposta è sempre la stessa, sussurrata all’orecchio dei pervertiti che le urlano contro: lo sai che non puoi permetterti di meglio, non c’è bisogno di dirlo a voce alta, lo sanno tutti.

Nella mansarda ci sono due stanze e un bagno minuscolo. Il bambino dorme sul divano, da sempre. Nella stanza grande ci sono un letto a due piazze, un tappeto, un comodino con sopra uno specchio, una finestra che dà sulla città. La luce è soffusa, proviene da una lampada posta in un angolo della stanza. L’aria è densa di fumo. La donna è seduta ai piedi del letto, indossa una sottoveste di seta. Ha le gambe accavallate, un gomito poggiato sul ginocchio e la testa posata sulla mano. La sottoveste lascia intravedere i lividi che ha sul polso e sulle gambe: c’è almeno un maniaco alla settimana.

Bussano alla porta, si sentono le urla di un ubriaco che sbraita. Ha il fiatone, le scale l’hanno stancato: probabilmente è grasso, sicuramente sudato.

15/6 gli chiede di aspettare ed entra nella stanza piccola.

Amore, devi dormire.

Il bambino ha addosso un pigiama blu, è di fronte al lavandino del bagno e sta finendo di lavarsi i denti. Fa cenno di sì con la testa. Sua madre gli si avvicina e gli sorride.

Non mi piaci quando sei truccata così tanto, mamma.

Non piace neanche a me. Un giorno capirai, o forse ti arrabbierai e basta.

Non mi arrabbierò mai con te.

Le dà un bacio e la abbraccia.

Buona notte, piccolino. Hai preso le cuffie che ti ha regalato tuo padre?

Eccole. Le fa un occhiolino.

Lei chiude la porta a chiave e va ad aprire il portone.

È grasso, proprio come se l’immaginava. E più ubriaco di quanto temesse. Si sfila la cinta e le ordina di buttarsi sul letto, pare che abbia poco tempo da perdere.

Spogliati. Sei bella, non dovresti essere qua a fare la puttana. Ma questo sei, abbiamo tutti una vita ingiusta.

Le fa scorrere le mani sudaticce addosso e la guarda, il suo alito puzza di vodka e tabacco. La morde e le lecca le guance.

Bussano alla porta, e alla donna arriva uno schiaffo sulla bocca.

Un altro? Che cazzo credi di fare? Tu sei mia finché non finiamo! Infilati quella vestaglia, vai alla porta e mandalo via. E bada che non capisca chi sono. Vai, ora!

In certe situazioni, aveva imparato, non poteva che obbedire. Apre il portone e si affaccia. La porta si spalanca facendo cadere la ragazza per terra, spinta da una donna con addosso una pelliccia.

Il bambino stringe forte la coperta e se la porta sopra la testa.

L’uomo, ridicolosamente nudo, sgrana gli occhi e spalanca la bocca.

Sdraiata sul tappeto, la ragazza alza la testa per capire cosa stia succedendo.

La donna in pelliccia avanza fino al centro della stanza, estrae una piccola pistola dalla borsa, mira al petto dell’uomo e spara.

Il bambino soffoca la crisi di pianto isterico che si sta impossessando di lui.

La ragazza si stringe le tempie e il suo trucco sbava per le lacrime, trema di paura. Una mano la aiuta a rialzarsi, un’altra le accarezza i capelli.

Ragazza, guardami. Ho bisogno che mi ascolti attentamente. Quello era mio marito, la cosa peggiore che mi potesse capitare. Gli ho sparato e probabilmente mi arresteranno, ma almeno non picchierà più le mie figlie. La più piccola è in ospedale, con la testa fasciata e un occhio pesto. Sapevo che l’avrei trovato qua, e so che non è la prima volta. Non è per te, ragazza. Non è perché mi ha tradito, lo tradisco anche io e lui lo sa. Ma dovresti vedere la mia bambina su quel letto d’ospedale per l’ennesima volta. Non avrei resistito un giorno di più. Non voglio che tu abbia a che fare con questa cosa. Questo è un assegno in bianco, mettici l’importo che vuoi e scappa, dove vuoi. Sei sola, sai dove passare la notte?

Parla, ragazza! La polizia sarà qua a momenti.

N-no. C’è mio figlio nell’altra stanza. La prego, non ci faccia del male. Andremo via da qui e cambieremo città, nessuno saprà mai che è stata lei. Ci faccia andare via, la prego.

Io aspetterò qua, non mi vergogno di quello che ho fatto e sono pronta a pagarne le conseguenze. Tu prendi l’assegno e cambia vita, ragazza. I miei soldi non mi serviranno, dove mi porteranno.

Dice questo, poi lascia cadere grosse lacrime di rabbia.

Amore, non piangere. Non fare così.

Ho paura, mamma, andiamo via.

Sì, andiamo, andiamo. Andiamo via. Prendi solo le cose importanti, andiamo via subito.

Dove, mamma?

Via da questo posto, per sempre. Copriti gli occhi e promettimi di non guardare cosa c’è nell’altra stanza, ti porto via in braccio.

Perché? L’ho sentito, quello sparo.

Promettimelo e basta.

Attraversano la mansarda, ritirano l’assegno e corrono giù per le scale, lungo il marciapiede, oltre l’isolato, lui dentro un pigiama e lei dentro una sottoveste, a perdifiato, con gli occhi lucidi. Si fermano di fronte a una villetta, suonano alla porta e li accoglie una bella ragazza molto più che sconcertata.

Nessuno chiuse occhio.

Furono i primi clienti della banca, quella mattina: cambiarono l’assegno e subito dopo prenotarono un volo per Parigi.

Partirono alle quattordici e trenta.

Negli schermi dell’aeroporto i telegiornali raccontavano di un caso di omicidio-suicidio in una mansarda in centro.

Magda e suo figlio non se ne accorsero, giravano per i negozi.