Sabato 7 Marzo – Caffè

(segue)

Casa di Chiara è a due passi dal parco. Va via dal concerto all’alba, insieme a Sara. In dieci minuti sono in cucina. Aspettano che esca il caffè, ridacchiano per il nervosismo e i fumi dell’alcol che non sembrano avere intenzione di svanire velocemente.

Il profumo del caffè si spande nell’aria, sono le sette. Se non fosse per il pallore e le occhiaie, potrebbe essere un sabato mattina come un altro.

Bevono il caffè, ed è come un rito. È un caffè inutile, fra un minuto saranno a letto. Come tutte le cose inutili, ha in sé una spontanea bellezza, che fa sorridere sinceramente.

Quindi posano le tazzine sul tavolo, si scambiano un’occhiata complice e si alzano per andare a dormire.

–    Buonanotte.

–    Buonanotte, ci vediamo per merenda.

Chiara è stesa sul letto a pancia in su, infastidita e divertita per l’odore di alcol di cui sono impregnati i suoi capelli. Lasciarsi andare le piace. Non ne ha paura. È lì, nel momento in cui le immagini residue della nottata appena conclusa si dispongono in ordine a formare i primi sogni, che Chiara sente vibrare il suo telefono.

“Non è possibile, è nel sogno. Non mi stanno chiamando. Non ora, non alle sette e mezza di sabato mattina. Non è vero.”

E invece, due piani più giù, di fronte al portone d’ingresso, Filippo la sta chiamando. Alle sette e mezza di sabato mattina. Ubriaco.

–    Chiara, ho perso le chiavi, apri!

–    Non urlare, sei pazzo? Ci sento, eh! Dov’è Marco?

(Risate) – È con me, apri!

Con uno sforzo indicibile Chiara si alza, non infila le ciabatte né un paio di pantaloncini. Cammina fino al citofono con addosso solo una maglietta larghissima e una buona dose di nervosismo – ma non è colpa del caffè.

La colpa del suo nervosismo barcolla, inciampa, urla, suona il campanello e varca la porta dell’appartamento, accompagnata dal fido compagno Marco. Insieme sono lo spettacolo peggiore che si possa augurare a una persona stanca e nervosa, alle sette e mezza di sabato mattina.

–    Scusaci, eh. Avevamo le chiavi nel mio zaino ma l’ho dimenticato sotto il palco. Siamo tornati indietro per riprenderlo, solo che l’unica cosa rimasta al parco era un operaio incazzato. In compenso in tasca avevo due euro e ti ho comprato una rosa.

–    Caspita, è molto bella.

–    Ti piace?

–    No, certo che no. È una rosa da due euro.

–    Tecnicamente è una rosa da UN euro, l’altra l’ho regalata a Marco, anche se l’ha persa.

Marco sorride vuotamente e fa spallucce.

Chiara, per evitare di litigare di primo mattino con due ubriachi, prende la saggia decisione di rinunciare a un discorso normale e li saluta:

–    Io e Sara abbiamo appena preso il caffè, ne è avanzato un po’. L’ho versato nel pentolino che c’è sulla cucina: se volete, bevete quello, anziché farne altro. E se volete un consiglio, buttatevi a letto, sembrate due cadaveri. Buonanotte.

–    Non preoccuparti, Chia’, niente caffè. Ora mettiamo a bollire un po’ d’acqua e prepariamo una pastasciutta.

Lo dice Marco, con una calma spiazzante. Come se fosse scritto su un qualche libro sacro in cui è depositata la saggezza del mondo. Come se fosse un dovere.

–    Facciamo una carbonara. Se vuoi favorire siamo qui.

A questo punto dà loro le spalle, sibilando un Voi non siete normali.

E mentre l’odore dell’aglio messo a soffriggere invade la casa, Chiara è di nuovo sul letto, a pancia in su, a fissare il soffitto. Ha una rosa sul comodino. E riflette sul fatto che, in fondo, ognuno ha diritto al rito che preferisce.

Non a tutti basta un caffè.

 

(continua)