Di fronte al mare

Le parentesi sono come la nostalgia.

G. si era trasferito di fronte al mare una decina d’anni fa, per scappare. Se ci fossero delle baite sulle rive del mare, la sua casa sarebbe stata una baita. La comprò bianca e spoglia, abbandonata e corrosa dalla salsedine, con una veranda in legno, sul lato che dava sul mare, tarlata e macchiata. Gli infissi erano divelti, molti senza vetri. All’interno c’erano i segni dei falò accesi dai barboni che spendevano lì le fredde e umide notti dell’inverno del mare.

Però era piccola e a buon prezzo. I proprietari se ne volevano liberare da molto tempo – siamo troppo vecchi per passare le vacanze così vicini al mare, i nostri due figli vivono in montagna, hanno trovato lavoro lassù.

Soprattutto, la casa era vicina al mare e lontana dalla sua vita precedente – in qualche modo perfetta. La rese abitabile e confortevole in quindici mesi, facendosi aiutare dagli amici che ogni tanto lo andavano a trovare, dal padre in pensione, dai fratelli. Tutti in realtà approfittavano del mare vicino per trascorrere una giornata di vacanza e per convincere G. a tenere la casa solo per le vacanze.
Non si può scappare da se stessi, gli ripetevano in continuazione.

Da quando la casa si rese abitabile ad oggi sono passati nove anni e otto mesi. È chiaro che nessuno convinse G. a cambiare idea.

G. fa il lavoro che sognava da sempre – scrive. E la finestra dello studio in cui scrive dà sulla veranda che ora ha messo a posto.

Non ha perso nessuno degli amici che aveva, vede regolarmente la sua famiglia. Ha imparato a nuotare e ha comprato una canoa. Ha nuovi amici, spesso cenano da lui. Ha un terranova di sessanta chili, Buio. Ha un nipote, figlio di sua sorella, che spesso trascorre le vacanze con lui. Ha una moglie con gli occhi verdi e la pelle chiara. È felice.

Le sue giornate passano lentamente, e questa è una fortuna.

Da Aprile a Settembre si concede una nuotata poco prima della colazione, mangia con il sale addosso per apprezzare maggiormente la doccia che seguirà. In inverno beve una tazza di tè caldo ascoltando il fragore delle onde infrante sulla riva. E poi la solita doccia.
Passa la mattina ad ascoltare musica d’oltreoceano, preferisce quella che non trasmettono mai alla radio. Intanto riordina la casa e prepara da mangiare. Da otto anni trascorre l’ora di pranzo con sua moglie – tutti i giorni. A volte c’è anche qualcun altro, ma lei non manca mai. Nel pomeriggio escono insieme e passeggiano. G. tiene il guinzaglio di Buio in una mano e la mano di sua moglie nell’altra. La cena la prepara lei, G. a quell’ora scrive.

Un amico architetto ha progettato meticolosamente una libreria che occupa tutta una parete dello studio – la base della libreria è la scrivania su cui G. scrive. Nello studio c’è un divano-letto: prima di mettere giù la prima riga G. si sdraia e guarda il soffitto bianco – ogni sera.

(Questo sarebbe un gesto da evitare. Tant’è che tutte le volte mi ritrovo a pensare a cosa aggiungerei in questo studio, altro che scrivere. A cosa fare domani e come, a lei là fuori e ai miei amici lontani. Ai sogni che non realizzerò più in questa vita, alla stanchezza di mia madre con le mani spaccate dalla pensione che non concede a nessuno di star fermo. A quando Buio era piccolo e sembrava non sarebbe mai diventato un peso, un po’ come questa vita. Che mi sembrerà sempre lontana dalla mia, e sarà sempre un rifugio e mai una casa. A dieci anni fa, quand’ero giovane e disperato, e illuso di trovare una soluzione andando via. Al mio lavoro, che tanto volevo e invece non mi basterà mai per essere felice. Al senso della vita che vado cercando nonostante la felicità, al rimpianto enorme che mi soffoca e mi ricorda ogni attimo: sei scappato, non hai risolto nulla. Agli occhi di tutti, che mi fissavano increduli. Convinti che invece non sarei partito, per quanto stessi giurando il contrario con un biglietto in mano. Convinti che sarei tornato, anche se dopo tanto tempo. E invece sono ancora qui, a respirare profumo di orate alla piastra cucinate solo per me, ad accarezzare un gigantesco cane nero che vive per me. Amato che di più non potrei desiderare, sempre a ricordare quando non sono stato in grado di amare a mia volta, e le ho tenuto la mano per un attimo e le ho solo detto che partivo. Ai suoi occhi bruni e infiniti, un attimo prima del pianto me ne sono andato. E invece forse sarei dovuto rimanere. Nonostante la bellezza di questo posto, nonostante le nuotate di mattina e il pub della sera, nonostante l’amore per mia moglie, nonostante Buio. Oppure era così che doveva andare. Oppure forse dovrei scrivere di questa roba, in modo da mandarla via per sempre dai miei pensieri, per iniziare a vivere normalmente. Anziché continuare a preoccuparmi del…)

Sì, certo che ho iniziato a scrivere, amore.
No, non come ogni sera, oggi è durato di meno.
Vieni, voglio darti un bacio.
Oggi sono più verdi del solito, che bella che sei.

Dopo cena andavano al pub, dove incontravano gli amici. Si trattenevano fino a tardi, poi tornavano a casa, di fronte al mare.