Non un fiore qualsiasi

Il signor M. è un abitudinario – questo dicevano di lui gli amici.

Il signor M. è una persona noiosa – dicevano gli altri.

Bisogna conoscere, al di là di ogni parere o impressione personale, l’incrollabile fede del sopracitato signor M. in un’ordinata amministrazione della sua vita. È uno di quegli uomini che considera la sveglia delle sette e zerozero una necessità e il pranzo alle tredici e zerodue un valido motivo per perdere la pazienza. Ha tanti interessi ma nessuna passione; conosce la storia e sa incantare ogni pubblico mentre la espone, non legge poesie per evitare di lasciarsi andare emotivamente. Alterna il gusto delle pizze che ordina, senza mai aggiungerne uno nuovo ai tre che ha stabilito con fatica molto tempo fa. La ordina il martedì a settimane alterne, sempre dalla stessa pizzeria, sempre alla stessa ora.

Una sera suonano alla porta, lui infila le pantofole e sfila gli occhiali. Senza provare nessuna curiosità cammina verso il citofono, lo raggiunge in circa otto secondi e lo solleva. Salga pure, primo piano. Fa scattare la porta dell’appartamento, lascia socchiuso e va a recuperare i soldi esatti per pagare. Attende, ed è l’unica pecca in un lungo gesto composto e previsto.

Quando un piano salta, si può reagire in due modi differenti: uno, si lascia perdere. Due, si programma un altro piano per risolvere la situazione. Quindi, trovandosi di fronte una bella ragazza bionda e sorridente anziché il solito Alberto al quale chiedere come procedessero gli studi alla facoltà di biologia, il signor M., che in quel periodo si chiamava semplicemente M., sbiancò e chiuse la porta di botto. Opzione uno: il piano è saltato, si lascia perdere. Fortunatamente, certi piani non possono saltare. Quella volta Carolina, fra lo stranito e il divertito, suonò il campanello d’ingresso – classico suono del campanello d’ingresso che vi immaginate. M. non era estroverso né eccessivamente solare, sorrideva spesso e sinceramente, ma non aveva mai un’aria del tutto contenta. Però conosceva bene l’educazione e la applicava in ogni forma consentita. Perché gli venne da chiudere il portone è spiegato dallo sbigottimento e dalla non prevedibile sostituzione Carolina-Alberto. Non è proprio da persone normali, e infatti M. non lo era, ma così avvenne.

La seconda volta che sentì suonare aprì perché rinunciare alla pizza alle zucchine del martedì, alla corretta applicazione del galateo e fare un figura così meschina era comunque troppo, anche per lui. Senza un’opzione due, per la prima volta da quando aveva la sua vita in mano.

Ecco la pizza, sono tre e settanta.

Lo so, eccoli. Scusami per prima, non so che mi è preso.

No, figurati. Non che me lo aspettassi, ma non c’è problema. Posso chiederti perché?

Mi aspettavo di vedere Alberto, forse è per quello.

Ah, ecco, capisco. Alberto è a casa con l’influenza, io lo sostituisco solo per questa settimana.

No, aspetta. Non dicevo in quel senso, non fraintendermi. C’è sempre lui, mi aspettavo lui.

Sì, ho capito, volevi vedere Alberto.

No, volevo vedere ciò che vedo ogni due martedì da tre anni e un mese a questa parte!

Ok, ok. Non è il caso di prenderla così. Grazie e buon appetito.

In piedi al centro della cucina, con la pizza che si sfredda e decisamente fuori dal consueto orario di consumo della stessa, M. si sente uno stupido.

Mentre scende le scale, Carolina pensa alla prossima consegna e a quanta gente strana si può incontrare lavorando come portapizze.

La cucina ha una finestra che dà sulla strada, per scendere le scale ci vogliono due minuti e quaranta, ne sono passati appena due e ventiquattro. M. si affaccia e aspetta. Senza sapere perché, senza sapere se fosse giusto, senza aspettarselo, urla.

Cosa fai giovedì sera?

Per ora niente, non lo so. (alzando la testa)

Niente neppure io, magari ci vediamo, vuoi?

Perché no? (all’esterno sorride, dentro di sé si pente)

Facciamo che passi tu qua sotto alle sette e trenta e mi faccio trovare giù?

Che cavalleria, mi sento lusingata. (ironica e sempre meno convinta)

Dai, io non so dove abiti, e mica me lo puoi urlare in mezzo alla strada.

E sia per giovedì verso le settemmezza. (già scocciata)

Certe cose partono senza convinzione e durano per sempre. Lui a pensare a quanto la sua pressapochezza la rovinasse, così carina e solare. Lei annoiata in partenza da una persona che sentiva già lontanissima dai suoi modi di fare.
Però poi si videro, di giovedì, alle otto meno dodici. Un M. sfiancato dall’attesa e una splendida Carolina, come tutte le donne al primo appuntamento. Era talmente bella che non se l’aspettava, per questo le piacque da subito. E lui la fece ridere per tutta la sera e per tutte le altre sere che condivisero. Si innamorarono e si amarono. Poi, dopo essersi fusi assieme, si confusero. Finì tutto e ritornarono ad essere ciò che erano prima d’incontrarsi.

Ma quanta bellezza, se ci fossero parole adatte per dirlo in fretta.

Il signor M. è proprio triste – dicevano di lui gli amici.

Il signor M. è proprio triste – dicevano anche gli altri.

Passò del tempo, poi il signor M. si decise e organizzò un altro appuntamento, con un’altra ragazza. Fissarono per un incontro al parco, la ragazza era in ritardo anche stavolta.

Mentre aspettava seduto su una panchina, di fronte a lui due bambini giocavano sull’erba. Avranno avuto quattro, cinque anni. Il maschietto calciava scomposto un pallone colorato, la sorellina raccoglieva dei piccoli fiori blu. Ne porse uno al signor M.

Tu lo sai che fiore è questo?

Sì, certo. E tu? (certo che sapeva sorridere, il signor M.)

Mia mamma me l’ha detto, ma non me lo ricordo più.

Dai, prova. Ha un nome che serve proprio a non dimenticare. (e amava i giochi di parole)

Sì, ma non me lo ricordo.

È un Non-ti-scordar-di-me. (guardandola negli occhi, come per insegnarglielo)

Bambini, tornate qui! (la madre dei due si avvicina)

Non mi disturbano affatto, signora, anzi.

Ma no, che dice? Mi scusi, ora ci spostiamo. Gabriele, Carolina, andiamo! (tende le mani aspettando quelle dei figli, che arrivano in fretta)

Il signor M. osserva un’altra volta il piccolo fiore blu e lo lascia cadere. Nella sua testa rivive in un secondo tutti gli anni trascorsi con la sua Carolina e si sente piccolissimo.

Ci sono persone, la maggior parte, alle quali certi giochi di parole e certe situazioni non fanno effetto. Diciamo che sono le persone normali.

E diciamo pure: per fortuna, il signor M. non era una persona normale.